Fondazione
L'abitato unico di Mola di Bari, nonostante la sua particolare ubicazione sul promontorio, il suo impianto viario, i reperti archeologici, le citazioni in documenti, mostra chiaramente di essere posteriore al mille. Nei registri Angioìni, del resto, esiste una lettera, datata 23 Novembre 1278, di Carlo d'Angiò il quale da Venosa scriveva al Giustiziere di Bari per informarlo che Mola era stata ricostruita a spese della Corona nel medesimo luogo ove esisteva l'antica città:"constrùctam jam ibi de novo cum sùmptibus Curiae".
Pertanto, anche se ancora esistevano in quell'epoca precedenti costruzioni, esse vennero probabilmente distrutte negli anni 1277 e 1278 quando Mola venne ricostruita e cinta di mura onde ricevere quali nuovi abitanti i componenti le 150 famiglie scelte dal Giustiziere di Bari e di Terra d'Otranto.
Sempre dai Registri Angioìni risulta inoltre che Carlo d'Angiò ordinò, con diploma del 22 Settembre 1279, la costruzione in Mola di una chiesa fuori delle mura e dalla parte di Rutigliano, purchè non fosse nè addossata nè troppo vicina alle mura stesse. Da ciò storici locali dedùcono che il primo impianto della Chiesa Matrice di Mola sia appunto quello relativo a tale diploma e che pertanto esso sia da far risalire a tale data, se non addirittura, come sostiene il Garruba, al IV secolo.
La Ricostruzione
I lavori di ricostruzione della Chiesa furono diretti dal dàlmata Francesco da Sebenìco, ed eseguiti da suo figlio Giovanni e dal Maestro Giovanni da Corfù. Dai documenti dell'Archivio Capitolare risulta anche che il maestro Francesco da Sebenìco assolse con tanta esattezza il suo lavoro che il Capitolo, considerato che egli aveva lavorato in ore straordinarie per ben sei anni, il 13 Febbraio 1564 deliberò di offrirgli spese di viaggio, ferri da lavoro ed altro a titolo di gratifica.
Poco tempo dopo furono costruite le quattro cappelle della navata destra ed i tre altari in legno in quella sinistra; le prime furono dedicate rispettivamente a Maria Santissima della Neve, a Maria Santissima della Pietà e della Croce, a Maria Santissima del Rosario ed a San Sebastiano (cappella questa che trovasi dove ora si apre il Cappellone del Santissimo); e gli altari rispettivamente a Maria Santissima di Costantinòpoli, ai Santi Martiri ed a San Rocco. Questi due ultimi altari furono rimossi quando nel 1774 si costruì la scala di accesso alla cripta.
Secolo XVI
Le notizie certe che si hanno della Chiesa, derivate da documenti autentici o copie coève tuttora conservate nell'Archivio Capitolare, risalgono alla metà del secolo XVI quando essa fu sostanzialmente riicostruita.
E' questo un periodo particolarmente importante per Mola: l'Università pur impegnata in gravose spese per la ricostruzione delle mura della città (distrutte durante la guerra tra Spagna e Francia conclusasi con la pace di Barcellona), continua a contribuire alla riedificazione della Chiesa; il feudo, retto fino al 1563 da Brianna Carafa in nome del figlio Gaspare II, la cui ospitalità fece confluire nel Castello personalità del mondo dell'arte e della cultura, passava a Giulio Carafa e quindi, dopo ultieriori passaggi di proprietà, nel 1584 al Demanio, con notevoli sacrifici economici della popolazione (sacrifici resi inutili dal successivo annullamento della demanialità).
Secolo XVII
Nel 1599, probabilmente, venne trasformata la Cappella di San Sebastiano nell'attuale Cappellone del Santissimo, con cùpola centrale, mentre nel 1625 furono eseguiti ulteriori lavori di restauro in quanto, afferma il De Santis: "su una colonna a sinistra della navata mediana si legge al di sopra di quella data il nome di Magister Susanna".
Nel 1599, probabilmente, venne trasformata la Cappella di San Sebastiano nell'attuale Cappellone del Santissimo, con cùpola centrale, mentre nel 1625 furono eseguiti ulteriori lavori di restauro in quanto, afferma il De Santis: "su una colonna a sinistra della navata mediana si legge al di sopra di quella data il nome di Magister Susanna".
Il 18 Febbraio 1618, così sistemata, la Chiesa ed il nuovo altare maggiore vennero consacrati da Mons. Pietro Pitarca, Vescovo di Fermo. Nel 1664 con il contributo dfi 300 scudi da parte dell'università furono riparate le coperture, e probabilmente in tale epoca fu costruita la parte bassa del campanile e la Cappella dell'Immacolata.
Secolo XVIII
Nel 1715 venne costruito sulla parte interna del muro di prospetto un grande organo che determinò la chiusura delle originali finestrelle rettangolari. Nel 1732 venne restaurata ancora una volta la copertura della Chiesa, probabilmente realizzato il plafòne (poi rimosso durante i lavori di restauro del 1952) e sopraelevato il campanile.
Nel 1734, con la somma ricavata dalla vendita di quattro colonne complete di basi e capitelli, e con la contrazione di un debito di 150 ducati da parte dei Procuratori della Fabbrica della Chiesa, furono restaurate le coperture delle navate laterali e probabilmente chiuso verso l'interno il matroneo (riaperto durante i lavori di restauro del 1952).
Nel 1742 fu costruito l'esistente coro in legno.
Nel 1774, infine, fu restaurata la cripta che fino a quel momento era stata soltanto un ipogeo destinato alla sepoltura ed a cui si accedeva da una scaletta posta nella parte posteriore della Chiesa. In tale occasione venne costruita la scala di accesso dalla navata sinistra e, cosa di notevole importanza, fu rinvenuta la lapide scolpita con caratteri irregolari, ora murata nel Cappellone del Santissimo, il cui testo secondo il Mancini è: "Agasmondo già prèsule di Nura per 14 anni passò lietamente la vita in Chiusi quì sepolto il giorno 3 settembre dell'anno del Signore 1150".
Considerazioni
Per quanto costruita dal 1545 al 1564 da tre maestri di origine levantina, la Chiesa Matrice di Mola non si differenzia molto, all'esterno e come concezione generale, da altre simili dell'epoca. Ciò è dovuto a quello stesso carattere dominante della "contaminatio di un romanico ritardatario, di un eccletismo stilistico spontaneo, che è caratterizzazione assoluta del Rinascimento pugliese, non dimentico di quella intensa vitalità di forme e di pensiero vissuta trecento anni prima fra i secoli XI e XIII".
In tale senso e da considerare la citata affermazione del Petrucci, perchè nella Chiesa matrice di Mola più che nei Duomi di Acquaviva, di Polignano, di Modugno, di Gravina, si riscontra una documentazione esemplificativa di quale fosse la cultura locale nei secoli XV e XVI: una cultura indubbiamente alquanto involuta nel gusto ritardatario che esigeva la continuità del romanico, vedi il prospetto laterale della Chiesa, ma nel contempo aperta ad accogliere importazioni sia diretta come quella dell'opposta sponda dell'Adriatico (gli architetti e le maestranze che ricostruirono la Chiesa) sia indirette come l'evidente derivazione dalla scuola toscana della struttura architettonica e del repertorio di ornati dell'interno della Chiesa.
E' però nel nostro caso importante rilevare come ciò che di romanico permane è evocato con spirito e sensibilità nuova: i portali, la copertura a tetto con capriate in vista, la iconografia basilicale, e lo stesso rosone goticheggiante, vengono posti con ben dosata perizia a contatto (senza che l'accostamento stesso diventi contrasto e la soluzione finale perda di unitarietà) con le colonne e capitelli corinzi, con le arcate a tutto sesto con archivolti a modanature classiche con i lunghi cornicioni ornati con elegantissimi bassorilievi con l'elegante loggia del matroneo retta da pilastri decorati a sticciato sulle tre facce visibili.